LO STUDIO - «Ma col nostro Studio genetico italiano sull'infarto miocardico precoce, su 1508 pazienti al di sotto dei 45 anni, studiati per 10 anni dal 1998 al 2008 - ha precisato Ardissino - abbiamo determinato l'importanza che varianti genetiche hanno nell'influire sull'incidenza di eventi cardiovascolari avversi e nel progredire dell'aterosclerosi coronarica nelle persone colpite da un primo infarto cardiaco precoce». Basandosi sui dati appena pubblicati di uno studio internazionale, i ricercatori del gruppo «Aterosclerosi, Trombosi e Biologia Vascolare» (ATVB), coordinato da Ardissino (insieme a Piera Angelica Merlini dell'ospedale Niguarda di Milano e a Pier Mannuccio Mannucci e Flora Peyvandi del Policlinico di Milano) sono stati i primi a individuare il «sentiero» su cui può progredire l'aterosclerosi coronarica per condurre all' infarto anche in assenza di fattori di rischio importanti come l'ipertensione o il colesterolo alto. (ndr-e il fumo adesso non è più un fattore di rischio?) «Col nostro studio - ha spiegato ancora il cardiologo di Parma - abbiamo decodificato nel genoma umano i geni correlati alla ereditarietà nell'infarto miocardico, in particolare quando giovanile, nonchè la predisposizione al secondo infarto, cioè alla ricaduta nella malattia. Quindi ora sappiamo - ha osservato - quando e quanto mettere in guardia chi sia portatore di questi geni, e opportunamente regolarne e attuarne la necessaria prevenzione».
APPLICAZIONI - «D'ora in poi - avverte Ardissino - chi ha consistenti precedenti familiari o personali per queste particolari patologie, può accertare, attraverso raffinate analisi del sangue, se è geneticamente predisposto all'infarto». Un esame che si può fare già alla nascita o da consigliarsi «di routine» a tutti i giovani che vogliono intraprendere un'attività sportiva agonistica, i cui sforzi potrebbero risultare altamente sconsigliabili. «Si pensi - osserva il cardiologo - a quelle morti cardiache improvvise in campo, di atleti risultati sani a tutti i precedenti controlli». «Questa identificazione dei marcatori genomici - conclude Ardissino - segna l'inizio di una nuova era, in grado di rivoluzionare la pratica clinica. Infatti, determina la focalizzazione di nuovi bersagli terapeutici, cioè l' identificazione di nuove terapie, nell' ambizioso obiettivo di una medicina personalizzata».
da: Corriere.it
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