Questo blog si ispira all'opera di Galileo Galilei che fu uno dei padri del metodo scientifico della scienza moderna. E in nome della scienza vera sono impegnato nella battaglia contro la superstizione, il pregiudizio e l’egemonia delle religioni. E una superstizione è quella che alla base del riscaldamento globale ci sono le attività dell’uomo. Niente di più sbagliato, come è detto in molti articoli di questo sito. Marx, poi, la scienza la applicò anche all’analisi della società e degli aspetti economici di questa, traendone la conclusione che è necessaria una società nuova che viva nel benessere e lontano dalle guerre. L’unione fa la forza, contro il malessere e la solitudine.


La verità su Chernobyl

(pubblicato su Il Giornale, 21 Aprile 2006)
Franco BattagliaDocente di Chimica AmbientaleUniversità di ModenaQuello di Chernobyl è stato il più grave incidente mai occorso in oltre 50 anni di produzione d’energia elettrica da fonte nucleare. Che – le conseguenze dell’incidente dimostrano - è la fonte d’elettricità più sicura oggi disponibile. Naturalmente, tutti credono che sia la più pericolosa, perché così è stato fatto credere da chi (i Verdi, ad esempio) ha avuto l’interesse, tutto politico, a demonizzarla.Gli effetti di quell’incidente sono stati esaminati - a 10, 15 e 20 anni di distanza - dall’Unscear (Comitato scientifico dell’Onu sugli effetti delle radiazioni atomiche) i cui rapporti rappresentano il lavoro di oltre 100 scienziati appartenenti a 20 nazioni diverse. Ogni rapporto conferma i risultati del precedente: il numero totale di decessi attribuibili all’incidente di Chernobyl «non è stato le decine o centinaia di migliaia di cui si è favoleggiato, ma è inferiore a 60», recita il rapporto 2005 dell’Unscear.Più precisamente, 3 (tre) lavoratori morirono sotto le macerie dell’esplosione, e dei 237 tra lavoratori nella centrale e soccorritori cui fu diagnosticata la sindrome acuta da radiazioni (poi confermata a 134 di essi), 28 (ventotto) morirono entro pochi mesi. Dei rimanenti, ulteriori 19 (diciannove) sono morti tra il 1987 e il 2004 «per varie cause» (uno di costoro, ad esempio, morì in incidente d’auto). Gli altri sono ancora vivi. «Se si esclude l’incremento di casi di tumore alla tiroide in persone che avevano tra 0 e 18 anni al momento dell’incidente, non si sono osservati aumenti d’incidenza di alcuna malattia attribuibile alle radiazioni, inclusi effetti riproduttivi, ereditari, tumori solidi e leucemie». (In queste circostanze, il rischio di leucemie è particolarmente temuto, ed un eventuale aumento di casi di questo tipo di tumore sono particolarmente significativi a causa del suo breve tempo di latenza, che è di 2-10 anni).E veniamo ai casi di tumore alla tiroide, «l’unica patologia, correlabile alle radiazioni, di cui si è osservato aumento d’incidenza». La correlazione nasce dal fatto che, in seguito all’esplosione, uno dei radionuclidi dispersi nell’ambiente fu lo iodio-131 che, pur avendo un tempo di semi-vita di soli 8 giorni (per cui si disintegra totalmente nel giro di poche settimane), si accumula nella tiroide nei normali processi metabolici dell’elemento, e la presenza nell’ambiente del suo isotopo radioattivo aumenta i rischi di neoplasie. Subito dopo l’incidente si procedette con uno screening a tappeto sulla popolazione di Ucraina, Bielorussia e Russia, e nel periodo 1986-2000 furono diagnosticati circa 4000 casi di tumore alla tiroide, «un numero considerevolmente maggiore di quel che ci si sarebbe potuto attendere da ogni precedente conoscenza: l’alta incidenza e il breve periodo di latenza fanno pensare ad altri fattori di rischio», recita il rapporto dell’Unscear. Tra questi fattori vi sono i tumori alla tiroide cosiddetti “occulti”: sono tumori che non hanno alcuna manifestazione patologica e ci se ne accorge solo in seguito ad autopsie eseguite su decessi per altra causa. Occorrono ovunque e in massa nel mondo, e con incidenze variabili (6% in Canada, 9% in Polonia, 13% in Usa, 35% in Finlandia). Ebbene, l’incidenza di tumori alla tiroide non occulti prima dell’incidente di Chernobyl era, in Russia, Bielorussia e Ucraina, di 27, 18 e 5 casi ogni 100.000 abitanti. Cioè tra 100 e 1000 volte inferiore di quelli occulti. Si comprende allora come lo screening a tappeto eseguito dopo l’incidente possa aver rivelato quell’eccesso di tumori: un eccesso, con ogni probabilità fittizio, che si sarebbe rivelato anche senza incidente se solo si fosse eseguito quello screening. A riprova di ciò si può addurre il fatto che l’incidenza dei tumori diagnosticati dopo il 1986 è minore nella regione più esposta alle radiazioni (Ucraina) e maggiore in quella meno esposta (Russia). Comunque sia, è un fatto riconosciuto nel rapporto dell’Unscear, che «di tutti i casi di tumore alla tiroide diagnosticati dopo il 1986, sono 9 (nove) quelli che hanno avuto decorso fatale».Insomma, 3+28+19+9=59 è stato il numero massimo di morti attribuibili all’incidente di Chernobyl. Meno di 60, appunto, e non le migliaia che molti organi d’informazione (si fa per dire) e responsabili politici (Verdi, soprattutto) hanno asserito (e continuano indisturbati ad asserire). Costoro, piuttosto, sono i veri responsabili del più grave danno sanitario riscontrato dallo studio dell’Unscear: «Le conseguenze psicologiche subite dagli abitanti le zone vicine all’incidente sono state simili a quelle dei sopravvissuti alle bombe atomiche». La cattiva informazione e la propaganda terroristica «etichettarono quelle popolazioni come “vittime di Chernobyl” attribuendo loro il ruolo di invalidi, e incoraggiandoli a percepire sé stessi come disperati, deboli e senza prospettiva di alcun futuro: ed è noto che se una situazione è percepita come reale, essa diventa reale nelle sue conseguenze».Ad esempio, quasi 350.000 persone furono «riallocate» senza alcuna ragione. Più precisamente, inizialmente si decise di evacuare temporaneamente i 50.000 della città di Pripyat: una decisione saggia, motivata non dal rischio di contaminazione radioattiva, ma dal sospetto che l’elevata temperatura avrebbe potuto fondere il cemento del pavimento su cui era poggiato il reattore facendolo precipitare nel sottosuolo, ove, se vi fosse stata presenza d’acqua, si sarebbe potuta verificare un’enorme e pericolosa esplosione di vapore. Pur fugato questo rischio, l’evacuazione temporanea divenne deportazione definitiva e si estese ad altre 300.000 persone che patirono i danni psicologici già detti. La ragione dichiarata delle deportazioni fu il cervellotico principio secondo cui qualunque dose di radiazione, anche minuscola, è letale. Più precisamente, lo spirito del principio è questo: se si sa, ad esempio, che un individuo che fumi 10.000 sigarette in un giorno muore intossicato, allora in una coorte di 10.000 individui che fumino, ciascuno, una sigaretta, uno di essi è, per ciò, destinato, quel giorno, a morire. Questo principio, nato come ipotesi di lavoro quando non si sapeva nulla degli effetti delle radiazioni, divenne, nelle mani dei Verdi e degli ambientalisti, verità scientifica, e tale è rimasto anche quando ogni successiva indagine ne ha sconfessato la validità.Le altre fonti di produzione d’energia elettrica (dall’idroelettrica alla fossile) hanno causato, nell’ultimo mezzo secolo, diverse decine di migliaia di morti: veri, non presunti. Ecco perché il più grave incidente mai occorso in oltre 50 anni di produzione d’energia elettrica da fonte nucleare dimostra che è, questa, la più sicura fonte di energia elettrica oggi disponibile. In conclusione, la regola d’oro che suggerirei per i nostri comportamenti è: andare nella direzione opposta a quella prospettata, suggerita, o anche solo indicata, dai Verdi e da chi a essi si accompagna. Quanto alla storia dettagliata dell’incidente e delle sue conseguenze, consiglio di leggere il saggio di Ugo Spezia Chernobyl 20 anni dopo, 21mo Secolo editore.

4 commenti

  1. Purtroppo la verità è un'altra.
    A tutto il 2010, secondo il Center for Russian Environmental Policy in Mosca e Institute of Radiation Safety, in Minsk, Bielorussia, pubblicato dalla New York Academy of Sciences, il conto della mortalità totale è di 1 milione di persone!
    Per il "professore" Battaglia sono 69!
    Ho detto tutto.

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  2. @Anonimo,
    innanzitutto ti invito al rispetto di scienziati come il Professore Battaglia. Quindi niente virgolette nel citarlo.
    Poi ti invito anche alla serietà nei tuoi commenti. Parli di un milione di morti, ma non della metodologia usata dagli "studi" da te citati. L'articolo del Prof Battaglia invece parla di metodologie e dati scientifici.
    Il rapporto dell’Unscear ciatato dal Prof Battaglia è l'unico cui fa riferimento anche Wikipedia.
    Infatti Wikipedia dice: "Il rapporto ufficiale redatto da agenzie dell'ONU (OMS, UNSCEAR, IAEA e altre) stila un bilancio di 65 morti accertati con sicurezza e altri 4.000 presunti (che non sarà possibile associare direttamente al disastro) per tumori e leucemie su un arco di 80 anni."

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  3. wikipedia non è e non può essere preso come "arbitro" di una disputa scientifica.

    http://www.progettohumus.it/include/chernobyl/dintorni/dossier/librochernobyl.pdf

    questo è un documento interessante, e mi pare pure super partes.

    La metodologia è una convenzione che procura una approssimazione, sempre e comunque.

    Infine, le persone non vanno rispettate per il titolo che hanno ma per la dignità e l'etica che si portano appresso.

    A ciascuno la propria.

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  4. Io stimo il Prof Battaglia, anche perchè ha un curriculum di tutto rispetto.
    E poi c'è anche l’Unscear

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