La vicenda parte da lontano. Inizia nel 2005, quando i partiti si spartiscono il Consiglio d’amministrazione Rai. La torta è divisa così: 5 consiglieri al governo Berlusconi (Petroni, Bianchi Clerici, Staderini, Urbani, Malgieri), 4 all’opposizione di centrosinistra (il presidente Petruccioli, Rognoni, Rizzo Nervo, Curzi). Petroni sbarca a Viale Mazzini come rappresentante dell’azionista. A nominarlo, cioè, è il ministro dell’Economia Siniscalco, visto che il Tesoro possiede il 99,45% della Rai. Con Berlusconi al governo, in Rai filo tutto liscio. Quando però le urne, nel maggio 2006, mandano a casa il Cavaliere e Prodi a Palazzo Chigi, gli accordi di spartizione saltano e l’armistizio finisce. I patti erano chiari: al governo tocca la maggioranza del Cda. Dopo la vittoria elettorale, quindi, il centrosinistra pretende le poltrone che gli spettano. Ma il Polo ad abbandonare il fortino Rai non ci pensa neppure. Se il Cda è blindato, l’Ulivo si prende la poltronissima di Direttore generale, piazzando Claudio Cappon al posto di Alfredo Meocci. Inizia così la guerra tra il prodiano Cappon e il Cda a maggioranza berlusconiana. Gran parte delle proposte del Direttore generale, infatti, devono essere approvate dal Consiglio d’amministrazione. Per un pò, a dire il vero, a Viale Mazzini regna la pace. A settembre 2006, ad esempio, su proposta di Cappon, il Cda nomina Riotta Direttore del Tg1, Braccialarghe alle Risorse umane e Brancadoro alla Direzione servizi generali. Ma quando Cappon alza il tiro, chiedendo la testa del direttore di Rai 1 Fabrizio Del Noce (FI) e di Rai 2 Antonio Marano (Lega), i cinque consiglieri del Cavaliere alzano le barricate. L’8 Marzo 2007, il Direttore generale presenta un pacchetto di nomine che prevede Carlo Freccero a Rai Sat e Giovanni Minoli al posto di Marano. Il Consiglio si spacca: i 4 prodiani votano si; i 5 berlusconiani votano no e Cappon è sconfitto. E’ la fine della tregua bipartisan e il prologo di una telenovela che si protrae per tutta l’estate. Cappon e i consiglieri dell’Unione infatti non mollano, e il 10 maggio chiedono di discutere l’operato del duo Del Noce-Marano, che collezionano un flop dietro l’altro. Proposta bocciata dai 5 "Berluscones", e si capisce perchè. Se Rai1 e Rai2 dovessero cadere in mani uliviste, la mappa del potere televisivo ne uscirebbe sconvolta. Il disco rosso al piano Cappon, però, accende l’ira di Padoa-Schioppa, che sfiducia Petroni (rappresentante del Tesoro) chiedendone le dimissioni. Petroni non ci sta e ricorre al Tar. Il 29 maggio, Il tribunale gli dà ragione e blocca l’Assemblea dei soci Rai, che doveva riunirsi il 4 giugno per discutere della revoca del suo mandato. E’ una vittoria di Pirro. Il 1 Agosto, il Consiglio di Stato ribalta le decisione del Tar e dà via libera alla destituzione del consigliere forzista. Sembra la fine. Invece Petroni si aggrappa alla poltrona, mentre il Polo fa quadrato attorno a lui. Ad Agosto, per due volte i consiglieri di centrodestra fanno mancare il numero legale per la convocazione dell’Assemblea dei soci, l’unico organo che può disarcionare Petroni. La palla passa così al Collegio dei sindaci, che riunisce l’Assemblea per il 10 settembre. Petroni affila i coltelli e ricorre di nuovo al Tar, che stavolta gli dà torto. E siamo al 10 settembre. Finalmente l’Assemblea degli azionisti sfratta Petroni e lo rimpiazza con Fabiano Fabiani, uomo di Padoa Schioppa, mentre il Polo grida al "golpe" televisivo e invoca l’intervento del Presidente Napolitano. E’ il ritono del figliol prodigo. Fabiani è una figura storica del servizio pubblico. Vi entrò nel ’55, con il leggendario concorso che portò in Rai Umberto Eco, Furio Colombo e Gianni Vattimo. Poi Fabiani fece carriera all’ombra di Fanfani, il Grand Commis della Tv in bianco e nero. Nel ’64 arrivò a dirigere il Tg. Ma c’era la Guerra del Vietnam e lui si schierò coi Vietcong. La Dc disse che era un comunista e lo defenestrò. Lo stesso capo d’accusa con cui, 40 anni dopo, Berlusconi ha licenziato Biagi, Luttazzi e Santoro. La Rai, così come l’ha lasciata, Fabiani la ritrova. |
Fonti:
Nessun commento
Posta un commento