Questo blog si ispira all'opera di Galileo Galilei che fu uno dei padri del metodo scientifico della scienza moderna. E in nome della scienza vera sono impegnato nella battaglia contro la superstizione, il pregiudizio e l’egemonia delle religioni. E una superstizione è quella che alla base del riscaldamento globale ci sono le attività dell’uomo. Niente di più sbagliato, come è detto in molti articoli di questo sito. Marx, poi, la scienza la applicò anche all’analisi della società e degli aspetti economici di questa, traendone la conclusione che è necessaria una società nuova che viva nel benessere e lontano dalle guerre. L’unione fa la forza, contro il malessere e la solitudine.


Per una televisione veramente libera

Nella produzione sociale gli uomini vengono a trovarsi in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, cioè in rapporti di produzione corrispondenti ad un determinato livello di sviluppo delle loro forze produttive materiali. Il complesso di tali rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, la base reale su cui si eleva una sovrastruttura giuridica e politica a cui corrispondono determinate forme di coscienza sociale. Il modo di produzione è ciò che condiziona il processo sociale, politico e spirituale. E per processo spirituale intendo la formazione delle coscienze attraverso la religione, i giornali, i libri, ed, appunto, la televisione. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, è il loro grado sociale che determina la loro coscienza. E' evidente che in queste condizioni non ci può essere potere del popolo, cioè democrazia E' indispensabile perciò che tutti uniscano le loro energie e i loro cervelli per trovare la via per eliminare le classi e per attuare la messa in comune dei mezzi di produzione. In mancanza di ciò il parlamento diventa per i sottomessi un luogo di inutili e interminabili discussioni e le elezioni sono un semplice sondaggio degli umori e delle aspirazioni degli strati profondi, entro i margini ammessi dall'ideologia e dagli interessi unitari della classe dominante. E la televisione è solo lo specchio di questo potere politico della classe dominante. Da più parti si elevano lamentele sulle manchevolezze, che io condivido, della televisione in Italia.Tanti si lamentano giustamente della scarsa imparzialità dei telegiornali. Questi il più delle volte sono asserviti a interessi di partito o di gruppi industriali e commerciali.La televisione dovrebbe invece essere utile per l'informazione o per uno sano svago serale.Invece in Italia (gli ultimi disponibili dati sono del 2001, ma la situazione oggi non è molto cambiata) i tre canali televisivi privati erano nelle mani di un unico imprenditore, ed erano quelli che raccoglievano circa la metà degli ascolti delle tv italiane e più di due terzi (oltre 5 mila miliardi di lire) degli investimenti pubblicitari delle aziende. L’altra metà degli ascolti e quel che restava dei soldi degli spot (più di 2 mila miliardi di lire) erano raccolti da altri tre canali, controllati dai partiti politici. L’imprenditore privato che possiede le tre tv è, naturalmente, Silvio Berlusconi. I tre canali controllati dai partiti sono, naturalmente, quelli Rai. Risultato: i canali saranno anche tantissimi, ma solo sei, i tre Mediaset e i tre Rai, fanno il mercato. In Italia poi finisce in spot più della metà degli investimenti pubblicitari (per la precisione: il 57 per cento), contro il 23 per cento della Germania, il 33,5 della Gran Bretagna, il 34,5 della Francia, il 38 degli Stati Uniti, il 41 della Spagna (fonte Zenith Media-The Economist). La tv italiana trasmette un milione di spot all’anno.Un esempio invece di come la Rai sia al servizio dei partiti è la vicenda del suo consigliere Petroni ambientata nel 2007:

La vicenda parte da lontano. Inizia nel 2005, quando i partiti si spartiscono il Consiglio d’amministrazione Rai. La torta è divisa così: 5 consiglieri al governo Berlusconi (Petroni, Bianchi Clerici, Staderini, Urbani, Malgieri), 4 all’opposizione di centrosinistra (il presidente Petruccioli, Rognoni, Rizzo Nervo, Curzi). Petroni sbarca a Viale Mazzini come rappresentante dell’azionista. A nominarlo, cioè, è il ministro dell’Economia Siniscalco, visto che il Tesoro possiede il 99,45% della Rai. Con Berlusconi al governo, in Rai filo tutto liscio. Quando però le urne, nel maggio 2006, mandano a casa il Cavaliere e Prodi a Palazzo Chigi, gli accordi di spartizione saltano e l’armistizio finisce. I patti erano chiari: al governo tocca la maggioranza del Cda. Dopo la vittoria elettorale, quindi, il centrosinistra pretende le poltrone che gli spettano. Ma il Polo ad abbandonare il fortino Rai non ci pensa neppure. Se il Cda è blindato, l’Ulivo si prende la poltronissima di Direttore generale, piazzando Claudio Cappon al posto di Alfredo Meocci. Inizia così la guerra tra il prodiano Cappon e il Cda a maggioranza berlusconiana. Gran parte delle proposte del Direttore generale, infatti, devono essere approvate dal Consiglio d’amministrazione. Per un pò, a dire il vero, a Viale Mazzini regna la pace. A settembre 2006, ad esempio, su proposta di Cappon, il Cda nomina Riotta Direttore del Tg1, Braccialarghe alle Risorse umane e Brancadoro alla Direzione servizi generali. Ma quando Cappon alza il tiro, chiedendo la testa del direttore di Rai 1 Fabrizio Del Noce (FI) e di Rai 2 Antonio Marano (Lega), i cinque consiglieri del Cavaliere alzano le barricate. L’8 Marzo 2007, il Direttore generale presenta un pacchetto di nomine che prevede Carlo Freccero a Rai Sat e Giovanni Minoli al posto di Marano. Il Consiglio si spacca: i 4 prodiani votano si; i 5 berlusconiani votano no e Cappon è sconfitto. E’ la fine della tregua bipartisan e il prologo di una telenovela che si protrae per tutta l’estate. Cappon e i consiglieri dell’Unione infatti non mollano, e il 10 maggio chiedono di discutere l’operato del duo Del Noce-Marano, che collezionano un flop dietro l’altro. Proposta bocciata dai 5 "Berluscones", e si capisce perchè. Se Rai1 e Rai2 dovessero cadere in mani uliviste, la mappa del potere televisivo ne uscirebbe sconvolta. Il disco rosso al piano Cappon, però, accende l’ira di Padoa-Schioppa, che sfiducia Petroni (rappresentante del Tesoro) chiedendone le dimissioni. Petroni non ci sta e ricorre al Tar. Il 29 maggio, Il tribunale gli dà ragione e blocca l’Assemblea dei soci Rai, che doveva riunirsi il 4 giugno per discutere della revoca del suo mandato. E’ una vittoria di Pirro. Il 1 Agosto, il Consiglio di Stato ribalta le decisione del Tar e dà via libera alla destituzione del consigliere forzista. Sembra la fine. Invece Petroni si aggrappa alla poltrona, mentre il Polo fa quadrato attorno a lui. Ad Agosto, per due volte i consiglieri di centrodestra fanno mancare il numero legale per la convocazione dell’Assemblea dei soci, l’unico organo che può disarcionare Petroni. La palla passa così al Collegio dei sindaci, che riunisce l’Assemblea per il 10 settembre. Petroni affila i coltelli e ricorre di nuovo al Tar, che stavolta gli dà torto. E siamo al 10 settembre. Finalmente l’Assemblea degli azionisti sfratta Petroni e lo rimpiazza con Fabiano Fabiani, uomo di Padoa Schioppa, mentre il Polo grida al "golpe" televisivo e invoca l’intervento del Presidente Napolitano. E’ il ritono del figliol prodigo. Fabiani è una figura storica del servizio pubblico. Vi entrò nel ’55, con il leggendario concorso che portò in Rai Umberto Eco, Furio Colombo e Gianni Vattimo. Poi Fabiani fece carriera all’ombra di Fanfani, il Grand Commis della Tv in bianco e nero. Nel ’64 arrivò a dirigere il Tg. Ma c’era la Guerra del Vietnam e lui si schierò coi Vietcong. La Dc disse che era un comunista e lo defenestrò. Lo stesso capo d’accusa con cui, 40 anni dopo, Berlusconi ha licenziato Biagi, Luttazzi e Santoro. La Rai, così come l’ha lasciata, Fabiani la ritrova.

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