Questo blog si ispira all'opera di Galileo Galilei che fu uno dei padri del metodo scientifico della scienza moderna. E in nome della scienza vera sono impegnato nella battaglia contro la superstizione, il pregiudizio e l’egemonia delle religioni. E una superstizione è quella che alla base del riscaldamento globale ci sono le attività dell’uomo. Niente di più sbagliato, come è detto in molti articoli di questo sito. Marx, poi, la scienza la applicò anche all’analisi della società e degli aspetti economici di questa, traendone la conclusione che è necessaria una società nuova che viva nel benessere e lontano dalle guerre. L’unione fa la forza, contro il malessere e la solitudine.


Grande abbaglio ambientalista sui biocarburanti

Scoppiano disordini e sommosse perché mancano i cereali. L’Europa sembra sorda agli appelli che le vengono rivolti e continua nella produzione dei biocombustibili. Ma in gioco ora c’è anche la stabilità mondiale.Il problema sta diventano molto più serio di quello che si pensava. Il mondo ha fame, le scorte di cereali sono ai minimi storici, i prezzi dei generi alimentari continuano a schizzare alle stelle, causando fra l'altro disordini e sommosse che minacciano la stabilità dei Paesi più poveri. Tutti danno la colpa di questa situazione allo sviluppo della produzione di biocarburanti. Ma, come se niente fosse, l’Europa continua dritta per la sua strada: l’obiettivo è di sostituire entro il 2020 il 10 percento dei carburanti delle auto con i biocombustibili. Il gesto della Ue potrebbe essere considerato nobile: sviluppare risorse alternative al petrolio per abbattere i rischi da inquinamento, oltre che affrancare l’Occidente dalla dipendenza energetica da Stati come l’Iran, la Russia, il Venezuela e gli Emirati Arabi permetterebbe di salvaguardare l’ambiente, riducendo l’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di CO2. I biocombustibili, infatti, una volta bruciati inquinano pochissimo. Il punto è che tanta nobiltà va analizzata alla luce degli effetti che produce.LA PRODUZIONE - Esistono vari modi per ottenere i biocarburanti. Uno è quello di utilizzare la cellulosa e principalmente gli scarti della lavorazione del legno, mentre l’altro, più utilizzato, richiede grandi quantità di materie prime per la produzione. La discriminante fra le due scelte è economica: a settembre, quando ancora il prezzo del greggio non aveva raggiunto i livelli attuali, il rapporto fra il costo di un litro di bioetanolo e quello di un litro di petrolio era pari a 1,22 per il bioetanolo ottenuto da cereali (se un litro di petrolio costava un dollaro, un litro di bioetanolo ne costava 1,22). Il rapporto si alzava invece a 1,76 con la cellulosa. Oggi, con il greggio a 118 dollari al barile, i rapporti si sono abbassati, ma ottenere biocarburanti con la cellulosa è sempre troppo costoso. Per questo tutti i produttori utilizzano il mais, e qui iniziano i problemi. Il pane e la pasta vengono fatti essenzialmente con il grano. Ma poichè i terreni da destinare all’agricoltura sono sempre gli stessi, se gli agricoltori decidono di piantare mais, in funzione del fatto che governi come gli Stati Uniti e l’Unione Europea sovvenzionano la produzione dei biocarburanti e inoltre questo viene pagato meglio sul mercato, il grano sarà sempre di meno. Le grandi aziende agricole mondiali stanno uscendo dalla produzione di cibo e foraggio per animali, mentre la popolazione globale sta crescendo di 87 milioni di unità all’anno e paesi in via di sviluppo come la Cina e India stanno passando a una dieta basata sulla carne che necessita di maggiore terra coltivata a cereali (i mangimi per animali sono cereali). I risultati sono di fronte agli occhi di tutti: in meno di un anno il frumento è aumentato del 130 percento e le scorte mondiali sono ai minimi storici. E a questo va aggiunto che lo scorso anno c’è stata una produzione da record dei cereali, ma che evidentemente non è bastata perchè una parte del raccolto va all'industria dei biocombustibili.LA FAME E LE PROTESTE- Come dicevamo i paesi emergenti, primi fra tutte Cina e India, migliorando il loro reddito hanno migliorato anche la loro dieta alimentare e hanno un maggiore fabbisogno di cereali. Fabbisogno che non viene soddisfatto dall’interno perché l’industrializzazione spinta che stanno sostenendo costringe i contadini ad allontanarsi dalle campagne. Così si arriva all’immenso paradosso di Stati che costruiscono grattacieli e industrie a ritmi vertiginosi, ma continuano a lavorare la terra ancora con l’aratro a buoi. La mancanza di cereali ha causato disordini e sommosse in varie parti del mondo. Il Pakistan è stato costretto a far sorvegliare i depositi di farina dall’esercito. In Egitto il mercato nero delle farine ha prolificato e ha lasciato a secco le fasce più povere della popolazione che sono scese in piazza a manifestare la propria rabbia contro il rais Mubarak. Ad Haiti i manifestanti hanno assaltato il palazzo presidenziale e disordini analoghi sono scoppiati in Camerun e in Indonesia. A fronte di questa situazione i principali esportatori di grano hanno deciso di correre ai ripari: l’Argentina e la Russia hanno messo dei dazi all’export, l’ Ucraina e il Kazaksthan hanno decisi di bloccarli del tutto. In questo contesto, continuare a utilizzare materie prime alimentari per la produzione di biocarburanti è da folli. Fortunatamente in molti, a parte l’Unione europea, se ne sono accorti. Nelle ultime due settimane si è assistito a un coro di voci di protesta. Prima è stata la volta della Fao che ha parlato di un allarme su scala mondiale per la carenza di cereali. Appello a cui ha fatto seguito la Banca mondiale che, per bocca del suo commissario europeo per lo Sviluppo, Louis Michel, non ha esitato a dichiarare come: «Si profila uno shock alimentare mondiale, meno visibile di quello petrolifero ma con effetti potenziali di un vero Tsunami economico e umanitario in Africa». Commenti più duri sono arrivati dall’Onu: Jean Ziegler, relatore speciale sul diritto al cibo, al giornale austriaco Kurier am Sonntag. ha dichiarato che stiamo assistendo a un «un silenzioso omicidio di massa». E se appare ovvio che Onu e Fao sostengano queste posizioni, altrettanto non è quando lo fa anche il Fondo monetario internazionale. Il suo presidente, Dominique Strauss-Kahn, non ha esitato a manifestare le proprie preoccupazioni: «Quando le tensioni crescono e arrivano a mettere in discussione la democrazia, allora esiste il rischio di un conflitto armato. La storia è piena di guerre cominciate per questo motivo». A tutte queste voci vanno aggiunte anche quella del premier britannico Gorden Brown, che ha chiesto di rivedere la politica europea sui biocarburanti; l’appello lanciato dal podio dell’Onu dal presidente boliviano Evo Morales e da quello peruviano Alan Garcia; i dati dell’istituto International Food Policy Research di Washington, secondo cui la produzione di energia ricavata dal granturco contribuirà per il 26%-72% all’aumento dei prezzi alimentari entro il 2020; tralasciando la voce interessata dell’Unione Petrolifera.LA POSIZIONE EUROPEA - Come risponde l’Unione Europea a tutto questo? Picche: «Non vediamo un pericolo enorme di uno spostamento della produzione agricola alimentare verso la produzione di biocarburanti, perché nell’Ue ci sono molti terreni non coltivati che potrebbero essere utilizzati», è stato il parere di Michael Mann, portavoce del commissario Ue all’agricoltura Mariann Fischer-Boel, dopo l’allarme lanciato dalla Fao. La Ue appare davvero cieca. Oltretutto sembra non ascoltare nemmeno il parere degli scienziati che criticano apertamente la produzione dei biocarburanti ottenuti tramite l’utilizzo di materie prime. In un articolo recentemente pubblicato su Science, Jorn Scharlemann e William Laurance dello Smithsonian Institute di Panama, mettono in luce l’intero danno ambientale provocato dai biocombustibili. «Rispetto al petrolio, quasi tutti i biocarburanti diminuiscono le emissioni di gas serra quando vengono bruciati», scrivono i due, «ma le considerazioni cambiano se si tiene conto dei loro effetti globali sull’ambiente». Dal loro studio, infatti, emerge che la produzione dei biocarburanti tramite materie prime come la canna da zucchero, il mais, il sorgo e la colza ha un impatto ambientale fino a cinque volte maggiore della benzina, per via della grande quantità di CO2 rilasciata durante i processi produttivi. La soluzione a questa situazione è soltanto una: frenare lo sviluppo dei biocarburanti ottenuti dalle materie prime e aumentare la produzione di quelli ottenuti con la cellulosa. In questo modo, si ridurrebbero le emissioni di CO2 nell’atmosfera e i cereali andrebbero destinati al lro scopo primario: l’alimentazione.Attualmente solo una buona notizia dalla Germania, un'altra delle tante che ci arrivano da laggiù sullo sviluppo delle energie rinnovabili: il ministro dell'ambiente Gabriel ha annunciato il 4 Aprile 2008 la cancellazione del piano di introdurre il 10% di biocombustibili nel sistema di distribuzione di carburanti.Ufficialmente, arriva per non costringere i proprietari di vecchie automobili a pagare di più la benzina. Spiegazione un po' curiosa, ma poco importa. Sicuramente hanno avuto effetto le proteste di quelli che vedevano i biocombustibili minacciare la produzione di cibo e devastare il suolo europeo. Probabilmente, la defezione della Germania darà il colpo di grazia ai piani della commissione Europea per lo sviluppo dei biocombustibili.Fonte: I biocarburanti affamano il mondo

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