Questo blog si ispira all'opera di Galileo Galilei che fu uno dei padri del metodo scientifico della scienza moderna. E in nome della scienza vera sono impegnato nella battaglia contro la superstizione, il pregiudizio e l’egemonia delle religioni. E una superstizione è quella che alla base del riscaldamento globale ci sono le attività dell’uomo. Niente di più sbagliato, come è detto in molti articoli di questo sito. Marx, poi, la scienza la applicò anche all’analisi della società e degli aspetti economici di questa, traendone la conclusione che è necessaria una società nuova che viva nel benessere e lontano dalle guerre. L’unione fa la forza, contro il malessere e la solitudine.


Il nucleare: energia per uno sviluppo sostenibile

Il bilancio energetico dell'Italia dipende dall'importazione di fonti energetiche per l'82% del fabbisogno, con un esborso annuo verso l'estero che nel 2003 ha superato i 30 miliardi di euro. Il fabbisogno nazionale è coperto per il 65% attraverso il ricorso agli idrocarburi (petrolio e gas naturale). Nel sistema elettrico la dipendenza dall'estero raggiunge l'84% e la dipendenza dagli idrocarburi il 52%. Alla luce delle tendenze recenti del prezzo del petrolio e del gas naturale, la situazione è ormai tale da condizionare pesantemente la capacità dell'Italia di competere sui mercati internazionali. Nell'ultimo decennio il bilancio elettrico italiano ha incorporato un contributo di importazioni di elettricità dall'estero che copre fra il 15 e il 18% del fabbisogno nazionale. Si tratta di energia prodotta essenzialmente nelle centrali nucleari francesi che transita anche attraverso la Svizzera, l'Austria e la Slovenia. I contratti di fornitura in essere prevedono un prelievo costante di 6.300 MW sulla rete estera: come dire che all'estero ci sono otto centrali nucleari della potenza di quella di Caorso che lavorano a pieno regime per noi. A partire dalle prime crisi del mercato del petrolio degli anni '73-'74 e '79-'80 i paesi industriali hanno avviato politiche di diversificazione del mix energetico che li hanno portati a diminuire progressivamente il contributo percentuale degli idrocarburi e ad incrementare quello del carbone e dell'energia nucleare. Nello stesso periodo, la sola diversificazione attuata in Italia è stata una transizione dal petrolio al gas naturale, con il risultato che il contributo complessivo degli idrocarburi alla copertura del fabbisogno energetico è addirittura aumentato: per produrre energia elettrica oggi l'Italia brucia più petrolio di quello impiegato per lo stesso scopo in tutti gli altri paesi dell'UE messi assieme. L'abnorme ricorso ai combustibili fossili pone inoltre all'Italia rilevanti problemi di salvaguardia dell'ambiente. Gli stessi obiettivi di riduzione delle emissioni previsti dal protocollo di Kyoto (6,5% di emissioni in meno entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990) sono di fatto irraggiungibili: secondo le valutazioni del Ministero dell'Ambiente, l'attuazione del protocollo di Kyoto costerebbe all'Italia 360 dollari per abitante, contro i 5 della Germania (33% nucleare) e i 3 della Francia (78% nucleare).Il recupero di competitivitàIl dissesto del sistema energetico italiano pesa gravemente sulla capacità del sistema produttivo di competere sul mercato internazionale. Studi recenti hanno confermato che la quota hi-tech sulle esportazioni manifatturiere dell'Italia si colloca a circa la metà della media europea ed è di 2,5 volte inferiore a quella dei principali competitors (Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Giappone). La classifica per competitività del sistema produttivo vede l'Italia scivolare dal 26° al 47° posto, situazione che i responsabili dello studio attribuiscono ad un peggioramento delle condizioni del settore imprenditoriale, all'esigua portata del potenziale innovativo, determinato dalla scarsa collaborazione tra produzione e ricerca, alla limitata disponibilità di capitale di rischio. Si tratta di una situazione alla quale occorre porre rimedio. I costi del sistema energetico si manifestano sia in fase di produzione sia in fase di trasporto dei beni, che in Italia viaggiano in massima parte su strada. L'energia elettrica prodotta in Italia costa il 60% più della media europea, due volte quella prodotta in Francia e tre volte quella prodotta in Svezia. Ciò rischia di porre fuori mercato interi comparti del sistema produttivo. Tra i fattori della produzione si annoverano il costo della manodopera, il costo delle materie prime, il costo dell'energia e il costo dell'innovazione tecnologica. Per competere in un mercato in cui i cosiddetti "prodotti maturi" sono ormai appannaggio dei paesi emergenti, non resta che ridurre l'incidenza dei primi tre fattori e investire estensivamente e produttivamente sul quarto fattore. La realtà è che purtroppo le imprese italiane - a valle dei processi di automazione dei cicli produttivi che hanno caratterizzato gli anni Ottanta e Novanta - non possono ulteriormente comprimere i costi della manodopera, così come non possono ridurre i costi delle materie prime, che sono in massima parte di importazione. Ampi margini di recupero esistono invece per quanto riguarda i costi dell'energia e gli investimenti in innovazione tecnologica. Occorre però avere il coraggio da un lato di rivedere le scelte energetiche operate alla fine degli anni Ottanta, e dall'altro di dare nuovo impulso agli investimenti in ricerca e sviluppo e ai processi di innovazione di prodotto e di processo. In questo quadro, il riassetto del sistema energetico (e di riflesso del sistema dei trasporti) costituisce, oltre che una necessità indifferibile, un'occasione per dare nuovo impulso alla competitività del Paese attraverso scelte oculate.Tutto l'articolo: http://vast.camera.it/files/relazione_giugno2005_Giancarlo_Bolognini.pdf

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