Questo blog si ispira all'opera di Galileo Galilei che fu uno dei padri del metodo scientifico della scienza moderna. E in nome della scienza vera sono impegnato nella battaglia contro la superstizione, il pregiudizio e l’egemonia delle religioni. E una superstizione è quella che alla base del riscaldamento globale ci sono le attività dell’uomo. Niente di più sbagliato, come è detto in molti articoli di questo sito. Marx, poi, la scienza la applicò anche all’analisi della società e degli aspetti economici di questa, traendone la conclusione che è necessaria una società nuova che viva nel benessere e lontano dalle guerre. L’unione fa la forza, contro il malessere e la solitudine.


Beatificazione di Pio XII? Uno scandalo.

Non una parola di condanna per il barbaro regime nazista da tempo al potere. Invece, come ci fa sapere Ernesto Rossi, questa lettera personale da parte di Pio XII ad Hitler del 6 maggio 1939, per proporre a Hitler un "vantaggio delle due parti":Amico di Hitler«Desideriamo, fin dall’inizio del nostro pontificato, rimanere legati da intima benevolenza al popolo tedesco affidato alle sue cure, e invocargli paternamente da Dio Onnipotente quella vera felicità a cui provengono dalla religione nutrimento e forza. In spirito di pronta collaborazione a vantaggio delle due parti (Chiesa e Stato) indirizziamo al raggiungimento di tale scopo l’ardente aspirazione che la responsabilità del nostro ufficio ci conferiscono e rendono possibile» Quando questa lettera fu scritta, nota Rossi, «Hitler aveva già da un pezzo programmato la “religione del sangue” contro la religione di Cristo, aveva dichiarato l’incompatibilità fra l’appartenenza alle organizzazioni cattoliche e l’appartenenza alle organizzazioni naziste, aveva sciolto le organizzazioni dei giovani esploratori cattolici, aveva inviato nei campi di concentramento parecchi esponenti del clero che non si adeguavano alle posizioni dei nazisti, aveva proibito i matrimoni dei cattolici con gli ebrei e, soprattutto, aveva iniziato la più spietata campagna contro gli ebrei, rinchiudendoli nei ghetti, obbligandoli a portare sugli abiti un distintivo, sequestrando i loro beni, facendo incendiare e devastare le sinagoghe e negozi ebraici, scatenando i pogroms e inviando a morire di stenti e sotto le torture decine di migliaia di innocenti. Di tutte queste criminali efferatezze e di queste aperte violazioni del Concordato non si trova alcun cenno nella lettera.Sulla guerra civile di Spagna del 1936:Encliclica Summi pontificatus, 20 ottobre 1939:«A particolare letizia si eleva il nostro cuore nel potere in questa prima Enciclica, indirizzata a tutto il popolo cristiano sparso nel mondo, porre in tal novero la diletta Italia, fecondo giardino della fede piantata dai Prìncipi degli Apostoli, la quale, mercé la provvidenza operata dei Patti Lateranensi, occupa ora un posto d’onore nel rango degli stati ufficialmente rappresentati presso la Sede Apostolica. Da quei patti ebbe felice inizio la “pace di Cristo restituita all’Italia”» (pagg 96, 97). I nobilissimi sentimenti cristiani di Franco (Radio messaggio alla Spagna, 16 aprile 1939). «I disegni della Provvidenza, amatissimi figlioli, si sono manifestati una volta ancora sopra l’eroica Spagna. La Nazione eletta da Dio come principale istrumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica, ha testé dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo la più elevata prova che, al di sopra di ogni cosa, stanno i valori eterni della religione e dello spirito. Esortiamo pertanto i Governanti e i Pastori della cattolica Spagna ad illuminare la mente di coloro che sono stati ingannati, additando loro con amore le radici del materialismo e del laicismo. Non dubitiamo che ciò avverrà, e di questa nostra ferma speranza sono garanti nobilissimi i sentimenti cristiani di cui hanno dato sicure prove il Capo dello Stato e tanti suoi fedeli collaboratori» (pagg. 97,98) . Proprio in quei giorni, nota Rossi, «i “nobilissimi sentimenti cristiani” del gen. Franco e dei suoi collaboratori sono messi bene in luce da Galeazzo Ciano che scrive a Mussolini (19 Luglio 1939): i detenuti politici sono ancora 200.000 ma i processi si “svolgono ogni giorno con rapidità che può ben dirsi sommaria e le fucilazioni sono ancora numerosissime. Nella sola Madrid dalle 200 alle 250 al giorno, a Barcellona 150 e 80 a Siviglia, città che non fu mai nelle mani dei rossi”»Appoggio agli sterminatori ultranazionalisti croati durante la II guerra mondialeEd ora un altra vicenda in cui Pio XII si distinse per la sua indifferenza verso la tragedia che colpì centinaia di migliaia di persone in Croazia negli anni della guerra, per opera del regime nazista degli ustascia sostenuti a affiancati da vescovi e preti cattolici:Ci riferisce MARCO AURELIO RIVELLI:Costituito il 10 aprile 1941 lo Stato Indipendente Croato, cioè il regime ustascia di Ante Pavelic, fu immediatamente posta in atto una mostruosa crociata volta al totale sterminio dei serbi ortodossi, degli ebrei e dei Rom, gli zingari. Nel corso di quattro anni vennero sterminati all’incirca un milione di esseri umani in una maniera così feroce che non ha avuto eguali, per le modalità, in tutto il corso della seconda guerra mondiale.... I massacri ustascia furono posti in atto con la maggiore pubblicità di fronte agli occhi di tutti: nelle strade, nelle piazze, nelle campagne.... I torturatori si facevano un vanto di essere ripresi dalle macchine fotografiche nell’atto di uccidere le vittime. Il numero delle vittime varia da settecentomila ad un milione. L’Enciclopedia Britannica riporta settecentomila, secondo il rapporto redatto dal Sottosegretario di Stato Usa Stuart Eizenstadt nel giugno 1998, inerente l’oro predato alle vittime degli ustascia e nascosto - secondo il rapporto stesso - in Vaticano, sono sempre settecentomila. Andrjia Artukovic, Ministro degli Interni dello Stato Croato Indipendente e capo di tutti i campi di sterminio, affermò al suo processo che nel solo campo di Jasenovac i trucidati furono settecentomila. L’orrore della crociata diventa ancora più fosco quando si considera la partecipazione fisica ai massacri di centinaia di preti e frati, in particolare i monaci francescani. Secondo la politica ustascia, i serbi dovevano essere tutti convertiti al cattolicesimo. Il Ministro Mile Budak affermò a proposito dei serbi "… un terzo lo convertiremo, un terzo lo uccideremo, un terzo verrà rimandato in Serbia".A capo del campo di sterminio di Jasenovac, vi fu per un certo periodo il frate francescano, Filipovic-Majstorovic, detto Frà Satana. Al suo processo si vantò di aver ucciso oltre quarantamila prigionieri. Gli successe alla guida del campo un altro religioso. Nel mio saggio indico i nomi di circa 160 religiosi, colpevoli di partecipazione diretta all’eccidio, ma furono molti di più. Il Resto del Carlino, quotidiano bolognese, in due articoli del 18 e 22 settembre 1941, in pieno periodo fascista, pubblicò a firma di Corrado Zoli due articoli nei quali, inorridito, narrava gli eccidi commessi dai francescani. Altre testimonianze oculari, quelle degli appartenenti all’esercito italiano, la maggior parte delle quali accessibili a tutti conservate negli archivi dello Stato Maggiore - Ufficio Storico.L’Arcivescovo Alojs Stepinac accolse con calore l’arrivo di Ante Pavelic, il Poglavnik (duce), ordinando che fosse cantato il Te Deum in tutte le chiese dello stato e diffondendo una lettera pastorale che incitava ad appoggiare il nuovo Stato perché esso "… rappresenta la Santa Chiesa Cattolica …". La Pastorale di totale appoggio al regime di Pavelic vedeva la luce quando già le prime notizie di massacri si erano diffuse e Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri Italiano e genero del Duce, annotava nel suo diario, il 28 aprile 1941, "… spoliazioni, rapine, uccisioni sono all’ordine del giorno". Il 26 giugno 1941, Ante Pavelic, che aveva già al suo attivo il massacro di 180 mila tra serbi ed ebrei, compresi tre vescovi e oltre cento pope ortodossi, concedeva udienza all’episcopato cattolico e, anche in quell’occasione, Stepinac non mancava di esternare lodi per il Poglavnik come documentato dai periodici cattolici, "Katolicki List" e "Hrvatski Narod" del 30 giugno 1941. Da ricordare che il 17 maggio precedente, Ante Pavelic, accompagnato da 120 ustascia in divisa, era stato ricevuto a Roma da Papa Pio XII. Alla fine dell’anno, l’Arcivescovo, che precedentemente con altri 11 religiosi cattolici era stato nominato deputato al Parlamento Croato, riceve la carica di capo dei cappellani delle Forze Ustascia. Più tardi riceverà anche un’altra onorificenza ustascia. Superfluo aggiungere che mai condannerà le efferatezze compiute davanti ai suoi occhi da individui con i quali per quattro lunghi anni intratterrà cordiali rapporti.Nell’aprile del 1945, gli ustascia in fuga depositano, per ordine di Pavelic, tutti gli atti e i documenti governativi, oltre ad oro gioielli e preziosi rubati alle vittime serbe ed ebree, nell’Arcivescovado di Zagabria, dove verranno nascosti e scoperti dopo alcuni mesi dalle autorità del Nuovo Stato Jugoslavo.Stepinac non punì mai - naturalmente in maniera ecclesiastica - i sacerdoti che si erano resi colpevoli di delitti, non proibì ai cappellani ustascia di continuare - quanto meno - ad essere testimoni di crimini, né vietò alla stampa cattolica la continua esaltazione del regime e delle sue leggi, e tanto meno censurò pubblicamente un regime reo di siffatte scelleratezze. Qualche apologeta ha scritto in questi giorni che Stepinac elevò alcune proteste contro, si badi bene, le modalità della conversioni ma non,l’affermo recisamente contro i massacri. Mi chiedo se, di fronte ad un eccidio di tale proporzione e nefandezza, per di più non isolato ma commisto ad infiniti altri si possa tacere e non esprimere lo sdegno di uomo di chiesa verso tali assassini. Mi chiedo come si possa assistere a cerimonie cui presenziano criminali conclamati e i loro capi senza rendersi conto di dare con la propria presenza un sostegno di fatto a quel regime sanguinario. Da non dimenticare che il sostegno fu anche dato, dopo la costituzione del Nuovo Stato Jugoslavo alla fine della guerra, alle attività clandestine di terrorismo condotte dagli ustascia che si erano dati alla macchia e dei quali benedì, dentro l’Arcivescovado, alcuni gagliardetti. Infatti, rientrato clandestinamente a Zagabria l’ex capo della polizia ustascia, Lisak, al fine di svolgere un’attività di terrorismo contro la Federazione, appena composta, l’Arcivescovo lo nascose nel suo palazzo, come dichiarato durante il processo dallo stesso Lisak.Stepinac non fu certamente un martire. Lo stesso Tito chiese a Monsignor Patrizio Hurley, rappresentante ufficiale del Vaticano, di richiamare a Roma l’Arcivescovo, non desiderando una rottura con la Santa Sede, altrimenti avrebbe dovuto arrestarlo, come riportato dall’Unità del 7 novembre 1946 in relazione ad un colloquio fra Tito e Togliatti.No. Stepinac non fu un martire. Chi scrive, pur avendo visionato migliaia di atti, non ne ha mai trovato uno dove l’Arcivescovo manifestasse la sua pietà per i tanti innocenti trucidati, fra i quali i migliaia di donne e bambini; non ha mai trovato la fiera condanna del Presule per l’uccisione barbara dei vescovi e dei preti ortodossi, nonché dei rabbini: sarebbe stato un gesto di carità cristiana di amore verso il prossimo in un contesto dove imperversava il "Male". No. Questo, Alojis Stepinac non lo fece. Seguitò le sue frequentazioni con i criminali, che in seguito, aiutò a fuggire. Condannato a sedici anni di carcere, fu posto, dopo quattro anni di detenzione, agli arresti domiciliari nel suo paese natale. Morì nel suo letto. Pochi giorni or sono il Centro Simon Wiesenthal ha chiesto al Papa di soprassedere alla beatificazione fino a che non fossero stati meglio accertati i fatti.Giovanni Paolo II beatificò Alojis Stepinac. Nella teologia cattolica, la santità è il complesso delle perfezioni morali. Propria di Dio in senso assoluto, e, in grado diverso, delle persone che hanno riprodotto in qualche modo la perfezione divina e che hanno modellato la loro vita ad imitazione di quella. Non ci sembra il caso del Cardinale Stepinac.La posizione della Chiesa cattolica croata e, in particolare, dell’arcivescovo Alojzije Stepinac, può essere riassunta dai numerosi documenti citati dallo storico Marco Aurelio Rivelli: «La piena e fattiva adesione del clero cattolico croato alla dittatura ustascia non è una semplice rivalsa dopo anni di soprusi, bensì una partecipazione fondativa allo Stato indipendente croato concepito dal nazifascista Pavelic e sostenuto da Hitler e Mussolini. Del resto – lo si è visto – il caposaldo spirituale dell’ideologia ustascia è il fanatismo cattolico più oscurantista. Secondo lo storico Falconi, nella connivenza del clero cattolico con la dittatura di Pavelic “determinante fu il carattere di movimento nazionale iperconfessionale del movimento ustascia, che voleva restaurare, in un certo senso, l’antico regno croato vassallo del Papa”.Un movimento, quello del Poglavnik, attivo “in nome di Dio”, e caratterizzato da un iper-cattolicesimo tale da distinguerlo nettamente dal nazionalsocialismo tedesco e dal fascismo italiano; già negli anni della clandestinità il movimento di Pavelic aveva raccolto numerosi attivisti fra i settori più integralisti del clero croato, e senza il pieno appoggio della diffusissima ed egemone Chiesa cattolica lo Stato croato non sarebbe potuto sorgere. La quasi totalità dei sacerdoti cattolici croati, e le loro congregazioni, accordarono dunque la più piena e convinta adesione alla nascente dittatura ustascia. Un’adesione che si spinge fino alla complicità apertamente e orgogliosamente rivendicata, anche dopo i primi massacri etnici. Ne è esempio un articolo, pubblicato il 10 aprile 1942 dal giornale “Vrmbosna”, firmato dal reverendo Dragutin Kramber, segretario dell’arcivescovo di Sarajevo Ivan Saric: “[Possiamo] affermare, senza tema di essere smentiti, che noi sacerdoti cattolici croati ci siamo trovati, nella stragrande maggioranza, fin dall’inizio, dalla parte di quegli uomini che hanno preparato l’avvento della Croazia indipendente. Questo Stato è una nostra creatura”. Il 21 aprile 1941 l’organo ufficiale dell’arcivescovado di Zagabria, “Katolicki List”, commentando l’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe nazifasciste, l’arrivo a Zagabria di Pavelic, e l’instaurazione della dittatura ustascia, attribuisce tali eventi alla Onnipotente Provvidenza: “Questi avvenimenti hanno reso possibile la fondazione dello Stato indipendente Croato. Lo Stato Croato è perciò un fatto. I nostri antenati lo hanno recato in loro per secoli come un ideale, finché l’Onnipotente Provvidenza non lo ha realizzato nell’anno del grande giubileo del popolo. La Chiesa cattolica, che per 1300 anni ha guidato spiritualmente il popolo croato in tutte le sue giornate, gravi, difficili e liete, unisce la sua gioia a quella del popolo croato in queste giornate della sua ascesa e del riacquisto dell’indipendenza statale”.Lo stesso giornale “Katolicki List” – che fa capo all’arcivescovo di Zagabria monsignor Stepinac – nel n° 41 del 7 giugno 1941 pubblica un articolo intitolato “Lo Stato Indipendente Croato”, firmato dal canonico Janko Penic (redattore del periodico), nel quale si inneggia al dittatore ustascia Pavelic: “Il Poglavnik ha restituito alla Chiesa cattolica la sua antica, tradizionale autorità divina, che nella vecchia Jugoslavia aveva gravemente sofferto. Il Poglavnik dedica grande attenzione alla fede e ai miracoli”. La piena adesione della chiesa cattolica croata alla dittatura ustascia arriva ad avallarne perfino il fanatismo antisemita. Lo testimonia la rivista cattolica “Glasnik sv. Ante”, periodico statutariamente dedicato al culto di Sant’Antonio, che nel numero 5-6 del giugno 1941 scrive: “In Croazia vi sono oltre 30.000 ebrei. Nella zona di Zagabria ve ne sono 12.000… nelle nostre regioni più povere (Lika, Erzegovina, Gorski Kotar, Dalmatinska Zagora e le altre isole dalmate) non vi è nessun ebreo, poiché là essi non hanno occasioni di rubare. Il Poglavnik ha dichiarato che la questione ebraica sarà radicalmente risolta”.L’azione cattolica (organizzata e sviluppata personalmente da monsignor Stepinac), la “Grande confraternita dei Crociati”, la Società accademica “Domagoj”, l’Associazione cattolica studentesca “Mahnic”, la “Grande Unione delle sorelle crociate”, le numerosissime parrocchie, i circoli ricreativi, le scuole e i convitti cattolici: tutta la capillare struttura della Chiesa cattolica croata si mobilita per sostenere e divulgare l’ideologia ustascia, e per convincere i fedeli che la feroce dittatura del Poglavnik è benedetta da Dio».Ma Pio XII e il Vaticano dov'erano in quei momenti?La Chiesa aiuta i criminali di guerra a fuggire in sudamericaE che dire dell'Organizzazione "Odessa"?Odessa esisteva davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la storia: i fascicoli del suo archivio erano stati distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli che rimasero furono definitivamente buttati via nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano troppo evidenti per essere cancellate del tutto. Così ora, finalmente, grazie alla pazienza e all’abilità dello storico e giornalista argentino Uki Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón, Garzanti, pp. 480, € 24) e lunghe ricerche in Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti, Argentina, disponiamo di una storia completa della più incredibile operazione di salvataggio di migliaia di criminali mai progettata e mai realizzata in tutto il Novecento.Diciamolo subito. Se l’Argentina di Perón era la «terra promessa», l’asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell’intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all’insegna dell’antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l’anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti.Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma veramente monsignor Montini fu il protagonista di questo intervento che garantì l’incolumità a criminali come Erich Priebke, Josef Mengele, Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a rimettere in piedi il movimento ustascia di Ante Pavelic per organizzare una guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi segreti americani avevano stabilito che «una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili». Oggi la disamina di quei registri è possibile e Goñi l’ha fatta. E le sue conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell’«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (quest’ultimo, argentino, nel 1960 espresse pubblicamente - «bisogna perdonarlo» -, il suo rincrescimento per la cattura di Eichmann da parte degli israeliani), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell’Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère.I documenti citati da Goñi sono molti e molto convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946 del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di consentire l’ingresso in Argentina a «5 mila combattenti anticomunisti» (la richiesta numericamente più imponente emersa dagli archivi) all’intervento di Montini per esprimere all’ambasciatore argentino presso la Santa Sede l’interesse di Pio XII all’emigrazione «non solo di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di iniziative estemporanee e certamente la loro rilevanza storiografica non può esaurirsi in una lettura puramente «spionistica».Un versante della seconda guerra mondiale trascurato dagli storici è quello che vede gli Stati latini, cattolici e neutrali, europei e sudamericani, protagonisti di vicende diplomatiche segnate però da un particolare contesto culturale e ideologico: nella cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu nominata generale dell’esercito nel 1943, dopo il golpe dei militari) ci si cullò nell’illusione di poter formare insieme con la Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo della pace», per preservare «i valori spirituali della civiltà» fino a quando la guerra in Europa continuava. Un progetto più ambizioso puntava a unire, con la leadership del Vaticano, i paesi dell’Europa cattolica, Ungheria, Romania, Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo (1942-1943), in Sud America governi filonazisti esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay: il disegno era di conquistare a un’alleanza in chiave antiamericana anche il piccolo e democratico Uruguay e il grande e cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte militari dell’Asse ma furono l’humus ideologica da cui nacque nel dopoguerra la rete di «Odessa».La centrale italiana operò soprattutto per il salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla fine della guerra ce n’erano migliaia, sparsi nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno, Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc.Gran parte di questi criminali si salvò passando da Roma verso l’Argentina: la via di fuga portava a San Girolamo, un monastero croato sito in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo, Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti americani concludeva: «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il Soggetto gode ora della protezione del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951, secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13 mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi usando il canale italoargentino. Altro articolo sull'argomento delle beatificazioni: Giovanni Paolo II amico dei massacratori. Santo maiRiferimenti:http://www.we-are-church.org/it/attual/Stepintriv.htm http://www.donvitaliano.it/?p=371La Stampa

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