Il tono usato dal presidente della Consulta De Siervo ieri l'altro lascia poche speranze: trattandoli da manutengoli della sinistra, Berlusconi ha offeso i giudici della Consulta, due terzi dei quali, come si sa, non provengono dal Parlamento, essendo scelti direttamente dal Capo dello Stato o tra i capi delle diverse magistrature. Ma anche per quelli di nomina politica i requisiti e le alte competenze giuridiche richiesti sono gli stessi e il sistema di elezione è tale da rendere indispensabile un accordo tra maggioranza e opposizione. Di qui l’irritazione dei supremi giudici a cui De Siervo ha dato voce ieri.
Il nuovo attrito istituzionale che ne è generato ha un prezzo particolarmente alto per Berlusconi. La Consulta infatti, nelle strategie dei difensori del premier, rappresenta l’ultima possibilità per cercare di evitare il processo con rito immediato chiesto dalla Procura di Milano e tentare di ricondurlo al Tribunale dei ministri, da dove, grazie a un nuovo voto parlamentare, potrebbe essere portato in una specie di limbo. Anche se non c’è alcuna ragione per temere che i giudici costituzionali si lascino influenzare dagli attacchi ricevuti, l’uscita del presidente De Siervo lascia trapelare una non proprio felice disposizione a occuparsi dei frequenti problemi giudiziari del premier. E se la richiesta di investire il Tribunale dei ministri dovesse essere respinta dalla Corte, Berlusconi dovrebbe rassegnarsi a comparire a Milano, per rispondere delle accuse infamanti che il caso Ruby gli ha riversato addosso e per ricevere in poco tempo, data la proceduta abbreviata, una sentenza che non promette niente di buono.
Da un articolo di Marcello Sorgi su La Stampa del 11 febbraio 2011.
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